venerdì 9 marzo 2012

Tecniche antiche per il futuro

Villaggio Globale, 15, (57), marzo 2012

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

La rivoluzione industriale, basata sul carbone, sul petrolio, sul gas naturale, ha “ucciso” un rilevante patrimonio di “vecchie” soluzioni tecniche del passato, alcune delle quali abbastanza o molto ingegnose. Caratteristica delle fonti fossili è stato il carattere di “grande”, di “molto”, spesso di moltissimo”. Una inimmaginabile crescente popolazione di autoveicoli, ormai verso gli ottocento milioni nel mondo, alimentati quasi esclusivamente con combustibili fossili, la nascita di grandi città, alimentabili quasi soltanto con fonti energetiche fossili, lo svettare verso il cielo di grattacieli sempre più alti, perfetti ma fragilissimi, come dimostra il fatto che, se si interrompe l’elettricità che muove gli ascensori, migliaia di abitanti o di impiegati restano intrappolati, prigionieri, sono alcune delle tappe del progresso tecnico e merceologico basato sulle tre fonti energetiche fossili.
Questo cammino si sta rivelando pieno di trappole, economiche, ecologiche e umane. Fra le trappole economiche si possono citare i problemi di crescente scarsità di alcune di queste fonti energetiche e materie “nuove”. E’ in atto un vivace dibattito fra coloro che ritengono che “davvero” si stia andando incontro ad una scarsità delle riserve petrolifere mondiali e quelli che sostengono che, a ben guardare, di petrolio ce n’è ancora tanto, intrappolato negli scisti bituminosi, nascosti nelle viscere di terre finora inesplorate come quelle polari, o nel fondo dei mari. E effettivamente la tecnica sempre più avanzata riesce a produrre più petrolio, ma in condizioni sempre più faticose e difficili e quindi a costi crescenti. Forse ancora un po’ più di petrolio, ma a prezzi crescenti.

Lo stesso vale per il gas naturale, comodo, relativamente meno inquinanti del petrolio, trasportabile a grande distanza dai pozzi con enormi gasdotti che attraversano molti paesi e il cui successo dipende dall’esistenza di buoni rapporti politici fra i paesi di partenza e quelli attraversati. Capricci dei governanti, malumori fra le popolazioni, rischiano di rallentare o frenare il flusso del gas naturale. Può essere trasportato per mare con grandi nave a bassa temperatura, ma anche questo richiede una rete di rigassificatori che riportano il gas naturale liquido allo stato di gas. Nuove ricerche mostrano che grandi quantità di gas naturale sono intrappolate nei ghiacciai polari, dai quali il metano può essere recuperato, con un aumento, così delle disponibilità globali: almeno fino a quando i crescenti consumi non impoveriranno anche le riserve di metano.

Il carbone può essere odiato quanto si vuole per le morti provocate nelle miniere, per i fumi inquinanti, ma resta ancora il “re carbone”, con la sua produzione di 6000 milioni di tonnellate annue, fra carboni e ligniti, e ha un ruolo spesso per ora insostituibile nelle industrie metallurgiche e in altre applicazioni industriali.

Tutto questo vale per i paesi industriali (diciamo 2000 milioni di persone) e per quelli in
rapida industrializzazione come Cina, India, Brasile, eccetera (diciamo altre tremila milioni di persone). Ne restano 2000, di milioni di persone, che chiamiamo “poveri”, che sono sparsi in terre in gran parte sconosciute, in condizioni di vita arretrate, secondo i nostri valori consumistici, ma che sono come noi e che, con i moderni mezzi di comunicazione, vedono e conoscono come vivono “gli altri” e che quindi vengono ad avere nuove aspirazioni, almeno quella di uscire dalla miseria.

Queste comunità vivono basandosi su tecniche e risorse “vecchie”. Il calore del Sole, la forza del vento, soprattutto, come combustibile la legna che è solare anche lei in quanto ricavata dalle foreste o da altri materiali, quelli che chiamiamo biomassa vegetale, “fabbricati” con la fotosintesi dal Sole.

Ironicamente anche i paesi industrializzati, progrediti, che vivono di tecnologie e materie “nuove”, si stanno fermando e si stanno voltando indietro e sono costretti a guardare con occhi nuovi alle tecnologie e alle materie “vecchie”.

L’uso delle tecnologie e delle materie nuove sta infatti rivelando delle trappole nascoste, oltre a quelle economiche e sociali a cui si faceva cenno prima, e che sono di carattere, diciamo così, “ecologico”. L’uso e la combustione di circa 14 miliardi di tonnellate all’anno dei tre combustibili fossili principali avviene con l’immissione nell’ambiente naturale --- aria, acque superficiali, oceani, suolo --- di crescenti quantità di gas responsabili di malattie, di alterazioni dei cicli naturali. La più diffusa di queste trappole è costituita dai mutamenti climatici indotti dall’aumento della concentrazione atmosferica di alcuni di questi gas. Se ne è parlato molte volte in questa pagine e sono noti alcuni gas, quelli chiamati ”serra”, responsabili di tali effetti. L’anidride carbonica è il principale, ma anche il metano e altri contribuiscono a queste alterazioni; gli ossidi di zolfo rendono acidi molti territori; le polveri sono responsabili di malattie, e molte altre sostanze, alcune note, come i composti clorurati fra cui diossine e composti simili, altre meno note come idrocarburi, alcuni cancerogeni, hanno effetti dannosi sulla salute e sull’ambiente.

Al pericolo di una scarsità di fonti energetiche e materie fossili, agli effetti ambientali negativi del loro uso, si sta diffondendo una risposta badata sulla ricerca di “nuove” fonti energetiche e materie rinnovabili, ecologicamente gradevoli --- che sono poi fonti energetiche e materie “vecchie”, le più “vecchie” della storia umana.

Ma siccome “vecchio” è parolaccia, ecco che le soluzioni basate su quanto è “rinnovabile” vengono spacciate come nuove anch’esse, anzi come “ultranuove“, grazie ai magici prefissi “bio” e “eco”. E si riscoprono cose dimenticate, sepolte in testimonianze e in pubblicazioni, che si sono ripresentate varie volte nel corso della storia. A parte il passato, in cui tutte le società avanzate, dai primi imperi di migliaia di anni fa fino al Settecento, la stessa società industriale ha dovuto ricorrere varie volte alle fonti rinnovabili nei periodi di scarsità di altre fonti.

Guardiamo le distese di scintillanti superfici di pannelli fotovoltaici: funzionano grazie alla più vecchia fonte di energia, quella del Sole, che riesce ad mobilizzare elettroni in alcuni metalli, un fenomeno scoperto nell’Ottocento (non a caso tali pannelli onorano, nel loro nome, il grande scienziato italiano Alessandro Volta (1745-1827) che per primo ha scoperto e descritto il fenomeno) e di cui le attuali celle fotovoltaiche sono pur ingegnosi perfezionamenti.

Le gloriose torri eoliche che svettano nel cielo, anche nella nostra Puglia, sono perfezionamenti di “vecchie” macchine inventate nelle ventose steppe asiatiche nel VII o ottavo secolo e da lì copiate e perfezionate e migrate verso la Cina, da una parte, e dall’altra parte verso il Mediterraneo e poi l’Europa meridionale e poi settentrionale. Il progresso è stato rappresentato dal passaggio dall’uso del vento per azionare macchine o mulini, a quello per produrre elettricità con dinamo e alternatori.

Ma ci siamo dimenticati che, per millenni, la forza misteriosa e divina del vento ha spostato le navi attraverso i mari e gli oceani fino alla fine dell’Ottocento. E quanto fosse importante e meraviglioso il vento lo ricorda l’antichità col mito di un dio che addirittura rappresentava questa forza grandissima, il dio Eolo, ricordate ?, quello che aveva offerto a Ulisse un sacco pieno di venti favorevoli con cui avrebbe potuto navigare fino alla lontana casa se i suoi curiosi e avidi compagni non avessero aperto il sacco e scatenato la tempesta da cui solo Ulisse si salva. E’un po’ una metafora di quanto sta avvenendo ancora oggi quando le forze del capitale finanziario tentano di diffondere le grandi ingombranti torri eoliche per poi scoprire che tanto migliori sarebbero i piccoli motori a vento per applicazioni locali, quelli di cui hanno proprio bisogno i villaggi dei paesi poveri.

Se ne parla poco, come se fosse una sorella di poco conto, forse perché la più “vecchia” fra le fonti energetiche rinnovabili, ma quella che produce più energia è proprio l’energia idroelettrica, prodotta quando grandi masse di acqua --- tenute in moto dall’energia solare che assicura il flusso di evaporazioni e condensazioni dell’acqua e di scorrimento dell’acqua sui continenti --- passano attraverso turbine inventate e perfezionate già nell’Ottocento. Del resto la forza delle acque in movimento è stata scoperta anch’essa da tempi antichissimi, da quel Medioevo tutt’altro che buio, pieno invece di stimoli e invenzioni, quando sono stati perfezionati e diffusi i motori idraulici sui fiumi, dapprima usati per azionare i mulini (ricordate il bel libro di Bacchelli “Il mulino del Po” con la sua storia di artigiani che macinavano granaglie utilizzando le forza delle acque del grande fiume ?) e i magli e i forni fusori.

Nel corso dell’Ottocento la “vecchia” forza del moto delle acque è stata applicata a dispositivi rotanti collegati con le dinamo (altra vecchia invenzione dovuta all’italiano Antonio Pacinotti (1841-1912)) in  modo da produrre elettricità. L’energia idroelettrica è stata la grande fonte di energia, il “carbone bianco” con cui stata avviata l’industrializzazione dell’Italia nell’Ottocento e nel primo Novecento, e ancora oggi in Italia, sui circa 290 miliardi di chilowattora all’anno di elettricità complessivamente prodotti, quella idroelettrica ammonta a circa 50 miliardi di chilowattore all’anno, un valore ben superiore a quella delle altre fonti rinnovabili eolica e solare fotovoltaica (rispettivamente 9 e 2 miliardi di chilowattore all’anno).

E nel mondo rispetto ad una produzione totale di circa 20.000 miliardi di chilowattora di elettricità all’anno, quella “vecchia” idroelettrica rinnovabile ammonta a circa 3.500 miliardi di chilowattore/anno. E molto di più si  potrebbe ottenere con impianti adattati ai piccoli salti in modesti corsi d’acqua,con impianti alternativi al gigantismo delle grandi dighe idroelettriche che sono la deformazione “nuova” dell’uso di una “vecchia” fonte di energia, “solare” anch’essa.

E infine guardate la pubblicità: molto chic ed ecologici sono i caminetti … a legna. La vecchia legna, che ha scaldato città e villaggi, che ha alimentato forni industriali e caldaie per migliaia di anni, soppiantata delle “nuove” fonti di combustibili fossili, ritorna non solo di frivola moda ma si presenta come occasione per perfezionare, per rendere più efficienti e meno inquinanti, caldaie e fornelli che aiuterebbero gli abitanti dei villaggi isolati a usare fonti locali per risolvere i propri problemi.

Non solo, si stanno riscoprendo processi di gassificazione della legna in grado di produrre gas combustibili. Gassogeni del modello inventato nel 1926 dal francese Georges Imbert (1884-1950) hanno alimentato per decenni, negli anni 1930-1950, automobili, camion, eccetera partendo da scarti agricoli e legname disponibili dovunque. La legna, i sottoprodotti agricoli, le ramaglie vengono caricate in una caldaia e vengono accese e attraversate da una corrente di aria preriscaldata; l’ossigeno dell’aria reagisce con gli elementi carbonio e idrogeno dei vegetali e li trasforma in ossido di carbonio e idrogeno, gas combustibili con un potere calorifico di circa 7 megajoule per kg, inferiore a quello del metano ma sufficiente ad azionare un motore a scoppio tradizionale o un forno.

Inoltre i materiali lignocellulosici dei sottoprodotti agricoli e forestali, si stanno presentando prepotentemente come fonti di materie prime per processi industriali oltre che come fonti di energia rinnovabili. Tanto per dare un tocco di modernità adesso li chiamano biocarburanti, ma l’alcol etilico come carburante per motori a benzina, i grassi come carburanti per motori diesel, sono la riscoperta ”nuova” di soluzioni “vecchie” che hanno avuto grande successo per molti anni nella prima fase della diffusione dell’automobile, in alternativa ai carburanti petroliferi.

E dalla biomassa vegetale e anche da scarti di origine animale si possono ricavare altri sostituti delle materie plastiche e delle materie prime petrolchimiche utilizzando le conoscenze della chimica organica e della microbiologia, riscoprendo cose vecchie e dimenticate che ritornano nuove in epoca di crisi della petrolchimica.

Nello stesso campo dell’energia solare si spendono grandi sforzi tecnologici “nuovi” per costruire centrali a specchi di grandi dimensioni che sostituiscano quelle termoelettriche a combustibili fossili e ben poco viene fatto per utilizzare dei semplici sistemi di concentrazione a specchi, sperimentati da tanto tempo e che sarebbero utili per piccole cucine domestiche.

Sempre a proposito di usi diretti del Sole non si dimentichi che le saline “solari” producono nel mondo grandi quantità di cloruro di sodio --- come a Margherita di Savoia, Cagliari, Trapani, in Italia --- e di altri sali per evaporazione dell’acqua da soluzioni diluite contenute in grandi vasche esposte al calore solare. Proprio di recente la produzione del litio, un elemento i cui sali soni essenziali nelle nuove batterie elettriche, per concentrazione delle soluzioni diluite che si trovano nei laghi salati o nel sottosuolo in Argentina, Bolivia, eccetera, viene fatta in grandi vasche sfruttando il calore solare che fa evaporare l’acqua, lentamente, in modo da consentire la separazione per cristallizzazione frazionata dei vari sali di interesse commerciale.

Per ultimo si può ricordare (se ne era parlato nel n. 4 del 1998 di “Villaggio Globale”) che con adatti distillatori, alimentati dall’energia solare, è possibile ottenere acqua dolce dall’acqua marina o dalle acque salmastre; il primo”vecchio” distillatore solare in grado di produrre 4000 litri di acqua dolce al giorno ha funzionato nell’altopiano desertico cileno nella seconda metà degli anni ottanta dell’Ottocento !; altri distillatori solari sono stati sperimentati negli anni cinquanta-settanta del Novecento proprio nell’Università di Bari. Vedrete che un giorno qualcuno li riscopre come nuove tecnologie, naturalmente senza sapere niente del passato.

Il “nuovo uso” delle tecnologie “vecchie” fa parte di un insieme di attività dedicate, nei paesi industriali, alle “tecnologie intermedie”, o “appropriate”, adatte appunto ad aiutare i paesi poveri, i villaggi, le comunità isolate nel loro cammino non verso la frenesia consumistica occidentale, ma verso la liberazione dalle malattie, dalla fatica, dalla miseria. Ci sono nel mondo molte iniziative, silenziose e sconosciute, di organizzazioni caritative, di missioni cristiane,  cattoliche e protestanti, di studiosi che cercano di rendere utili, di nuovo oggi, le tecnologie “vecchie”. “Tecniche vecchie per il futuro”.

Queste iniziative non hanno ascolto nella grande ricerca universitaria e potranno essere aiutate dall’analisi di raccolte dellè’enorme documentazione storica sulle energie e materie rinnovabili.Un archivio del genere è stato creato, nell’ambito del Gruppo per la Storia dell’Energia Solare, dalla Fondazione Luigi Micheletti di Brescia (http://www.fondazionemicheletti.it/), la quale ha anche creato un Museo dell’Industria e del Lavoro MusIL (http://www.musil.bs.it/) in una centrale idroelettrica dismessa e restaurata a Cedegolo, in Val Canonica, lungo il corso del fiume Oglio, in provincia di Brescia.

In questo Museo è stato realizzato un laboratorio in cui studenti e tecnici della zona, o ospitati da altre zone, sperimentano “vecchie” soluzioni innovative. In occasione della giornata del 17 febbraio 2012, all’insegna della campagna “M’illumino di meno”, sono stati realizzati esempi di tecnologie vecchie del tutto adatte ai tempi attuali.

Un gassogeno, del tipo sopra accennato, a legna ha alimentato una automobile che è stata sperimentata su strada. Alcuni studenti hanno costruito una bicicletta che aziona una dinamo; non si deve dimenticare, infatti, che anche il lavoro muscolare umano è una “vecchia” fonte di energia rinnovabile e continuamente utile. Un umano ha una potenza di circa 0,04-0,08 chilowatt; le biciclette di Cedegolo accendevano le lampadine del laboratorio producendo un chilowattora di elettricità in un’ora di energica pedalata.

Anche queste apparentemente rudimentali tecniche “vecchie” sono pensate come forme di “nuova” ingegneria al servizio degli esseri umani, di quelli che meno hanno, una ”ingegneria della carità”.

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