giovedì 3 marzo 2016
La Gazzetta del Mezzogiorno, 1 marzo 2016; eddyburg 1 marzo 2016, http://www.eddyburg.it/2016/03/le-previsioni-sono-difficili.html
L’Università delle Nazioni
Unite di Tokyo e altre associazioni scientifiche hanno deciso di proclamare il primo
marzo, “Giornata mondiale del futuro”. Tutte le persone e le società umane si
sono sempre interrogate sul “futuro”: che cosa succederà “domani”, “fra un
anno”; gli agricoltori si chiedono se pioverà, i negozianti si chiedono se venderanno
le loro merci; ogni persona si chiede se sarà ricca, o felice e quanto a lungo
vivrà. La saggezza popolare suggerisce che “il futuro è nelle mani di Dio”, però
qualche tentativo di previsioni va fatto non tanto su quello che succederà quanto
piuttosto su quello che potrebbe avvenire in futuro, sui futuri possibili e
sulle relative conseguenze positive o negative. A partire dall’Ottocento ogni
notizia di qualche nuova invenzione o scoperta scientifica ha stimolato gli scrittori
a immaginare quali effetti avrebbero potuto avere ”in futuro”, previsioni più
meno fondate o affidate alla fantasia ad alimentare la fortunata corrente delle
opere di “fantascienza”.
Una delle più importanti
correnti di studi sul futuro ha riguardato la crescita della popolazione di un
paese, un problema che interessa le compagnie di assicurazione e che è dato
vita alla “matematica attuariale”, disciplina che ha avuto famosi docenti anche
nell’Università di Bari. Si è poi visto che le stesse “leggi” che descrivono l’andamento delle popolazioni umane sono in
grado di descrivere la nascita, crescita, declino e scomparsa delle popolazioni
di tutti gli animali e ne è nata, negli anni trenta del Novecento, una fiorente
corrente di “ecologia matematica”, che avrebbe fornito gli strumenti di
previsione per i successivi “studi sul futuro”.
A poco a poco alcuni governi
hanno cominciato a organizzare degli uffici per decidere le proprie politiche
economiche sulla base di previsioni: di quante case o patate o trattori o automobili
avrà bisogno il paese ? Il primo esempio fu offerto dal governo bolscevico che,
appena insediato in Russia, organizzò l’ufficio dei piani quinquennali, il
Gosplan, il grande centro di studi sul futuro che ispirò simili iniziative
negli Stati Uniti e anche ricerche in Italia: Giorgio Mortara, dell’Università
Bocconi di Milano, pubblicò, dal 1921 al 1937, quindici volumi, uno all’anno,
di “Prospettive economiche”. Solo con qualche forma di previsione è possibile
rendersi conto in tempo dei mutamenti in atto, in modo da correggere le previsioni
successive.
Ma una vera attenzione “scientifica”
per immaginare il futuro, anzi i futuri possibili, è cominciata dagli anni
cinquanta del secolo scorso con la scoperta dell’energia atomica, la tensione
fra paesi capitalisti e comunisti, la diffusione delle bombe nucleari, la
rapidissima espansione della produzione industriale e dei consumi. In questo
periodo il francese Bertrand de Jouvenel (1903-1987), uomo politico ed economista,
ha creato un centro di ricerche sul futuro chiamato, appunto, “Futuribles”, futuri
possibili, che ha stimolato studiosi di molti paese al punto che gli “studi sul
futuro” hanno trovato accoglienza anche in alcune università. Negli anni
settanta il famoso libro “I limiti alla crescita” del Club di Roma, è stato il più
discusso esercizio di analisi del futuro; il libro conteneva delle previsioni,
basate su analisi statistiche e matematiche, di quello che avrebbe potuto
succedere se fosse continuata la “crescita” della popolazione mondiale, della produzione
industriale e dei conseguenti inquinamenti e impoverimento delle risorse
naturali, al ritmo che aveva caratterizzato i decenni precedenti. Il libro
prevedeva un peggioramento delle condizioni di vita di un pianeta sovraffollato
e suggeriva di ripensare l’ideologia “della crescita”. Quasi contemporaneamente
fu costituita la Federazione Mondiale per gli Studi sul Futuro, presieduta per
molti anni dalla più importante scienziata italiana in questo campo, Eleonora
Masini, che organizzò la prima conferenza mondiale sul Futuro a Frascati nel
1973 (i preziosi atti sono ormai purtroppo introvabili), e ha insegnato per
molti anni “Previsioni sociali” all’Università Gregoriana di Roma.
La distensione
internazionale, il miglioramento delle condizioni di vita e degli affari, hanno
poi fatto accantonare per anni l’interesse per gli studi sul futuro che sta
risorgendo un po’ adesso anche perché i cambiamenti climatici hanno spinto a
chiedersi che cosa “può succedere” se continuerà il lento progressivo aumento della
temperatura terrestre. Qualcosa sembra muoversi anche in Italia dove è stato
creato da qualche anno a Napoli un “Istituto Italiano per il Futuro”.
A ben pensare ogni governo,
ogni impresa dovrebbero cercare di capire le tendenze future dei fenomeni da
cui dipendono le loro decisioni; un lavoro difficile perché “esplodono” continuamente
nuovi fenomeni imprevisti. Mezzo secolo fa si prevedeva una rapida crescita
della popolazione mondiale; oggi stiamo assistendo, in molti paesi, ad una
diminuzione delle nascite, ad un aumento degli anziani, alla necessità di
“importare” lavoratori stranieri. Quaranta anni fa il governo italiano aveva previsto
di costruire sessanta centrali nucleari e adesso non ce ne è neanche una. Le
compagnie petrolifere continuano a estrarre petrolio i cui consumi sono
rallentati. Venti anni fa la transizione dal comunismo ad un capitalismo di
stato ha trasformato la Cina in un gigante che invade col suo acciaio e i suoi
pannelli solari tutto il mondo e costringe alla chiusura le fabbriche europee. Perché
non sono stati capiti in tempo i segni di tali mutamenti ?
A mio modesto parere gli “studi
sul futuro” dovrebbero diventare disciplina di insegnamento e oggetto di ricerca
in tutte le università; ne trarrebbero vantaggio governi e imprese, nell’insieme
tutta la società e anche l’ambiente naturale.
lunedì 27 aprile 2015
Non più bombe nucleari !
Nei giorni 8
e 9 dicembre 2014 si è svolta a Vienna la Conferenza sull’impatto umanitario
delle armi nucleari, alla fine della quale l’Austria, paese ospitante, ha
proposto a tutti i paesi di firmare un “Impegno”, l’“Austrian Pledge”, di
colmare il vuoto giuridico che ancora impedisce il divieto e l’eliminazione
delle armi nucleari.
All’invito
hanno aderito finora 75 stati, fra cui San Marino e alcuni altri
paesi europei. Non l’Italia. Chiediamo ad alta voce che anche l’Italia aderisca
a tale “Impegno” di avviare concretamente le procedure previste dall’”Articolo VI”
di tale trattato che impone ai paesi firmatari, fra cui l’Italia, l’obbligo di
prendere iniziative per arrivare al disarmo nucleare “generale e
completo”, "una volta per tutte".
L’obbligo
del rispetto di tale “Articolo VI” è ribadito anche nella sentenza del 8 luglio
1996 della Corte Internazionale di Giustizia che ha riconosciuto la illegalità
dell’uso e della minaccia di uso delle armi nucleari.
Vittorio
Agnoletto, Edy Paola Arnaud, Maria Cristina Bartolomei, Piero Basso, Felice Besostri, Franco Calamida, Enzo Ferrara,
Roberto Fieschi, Teresa Isenburg, Giorgio
Nebbia, Lidia Menapace, Gianni Novelli,
Elena Paciotti, Silvano Piccardi, Pier Paolo Poggio, Guido Pollice, Giovanna
Ricoveri, Erica Rodari, Giacomo Schettini, Salvatore Senese.
sabato 4 aprile 2015
Pensieri sul futuro
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Poche
cose hanno attirato l’interesse degli esseri umani come l’interrogarsi sul
futuro: quanti abitanti può “sostenere” il nostro pianeta ? ci sarà cibo e acqua
e energia per tutti ?
Come
è ben noto, una popolazione di esseri viventi animali, e quella umana è una di
queste, vive ricavando dall’ambiente dei beni materiali, alcuni rinnovabili come
l’acqua o i vegetali, altri non rinnovabili, come il carbone, altri trasformati
dalla “tecnica” come la plastica o la conserva di pomodoro. Per il principio di conservazione della massa
tutto quello che “entra” in un processo come quello vitale esce nella stessa
quantità ma “degradato”, non più utilizzabile come tale, sia energia, o gas, o
acciaio e carta, eccetera, e addirittura sotto forma di scorie dannose per
l’ambiente. Dal momento che, nel caso del pianeta Terra, l’ambiente è
fisicamente limitato, a mano a mano che aumenta la popolazione, diminuisce la
quantità di beni disponibili e peggiora la “qualità” dell’ambiente stesso.
venerdì 20 febbraio 2015
"Think: pensa al futuro"
Villaggio Globale telematico, 14,
(55), settembre 2011
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
"Think” è una parola inglese che si può leggere in tante
maniere: il pensiero; il verbo pensare; io o noi penso o pensiamo; un invito,
un imperativo, a pensare. Think, pensa, è stato scelto come “motto” dalla prima
grande società di informatica moderna, la International Business Machines, o
IBM, come è nota in tutto il mondo, una storia di gente che ha pensato: pensato
di fare quattrini, ma anche di risolvere problemi umani.
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venerdì 13 febbraio 2015
F. Maggini, "Statistica e scenari", 2015
Statistica, scenari calcolabili e utopie
immaginifiche
Filomena Maggino[1]
“questo ‘telefono’ ha troppi difetti per poter essere
preso seriamente in considerazione come strumento di comunicazione. Questo
dispositivo è quindi naturalmente di nessun valore per noi”
Western Union – Nota interna
(1876)
La statistica si occupa – tra
le altre cose – di individuare regolarità nelle informazioni rilevate (dati). Tali
regolarità possono essere osservate in termini di tendenze, quando un certo fenomeno è osservato nel tempo, oppure di
relazioni, quando si osservano
convergenze e divergenze regolari tra i fenomeni osservati.
L’osservazione di regolarità
consente di ipotizzare interpretazioni e spiegazioni. Coerentemente con tale conoscenza
acquisita, che può essere formalizzata in un modello, è possibile ipotizzare come il fenomeno sotto osservazione
si presenterà nel futuro. In altre parole, i modelli danno la possibilità di
formulare previsioni (o proiezioni) ed eventualmente di prendere decisioni (al
fine di influenzare l’andamento di determinati eventi).
mercoledì 11 febbraio 2015
C. Facioni, "Parlare di futuri", 2015
Ricordatevi della vostra umanità, e
dimenticate il resto
Joseph
Rotblath
Perché si deve, soprattutto oggi, parlare di “futuri”
Carolina Facioni
Anche i più distratti se ne sono forse
accorti: da qualche tempo la parola “futuro” è molto utilizzata dai mass media.
È il termine centrale di moltissime pubblicità, così come è onnipresente nei
discorsi dei politici. Anche sul versante della protesta sociale (quanto di
solitamente più lontano dall’establishment e dalle strategie del mercato)
l’accento non è posto tanto sulla insoddisfazione per la condizione presente,
quanto sul fatto che “si rubi il futuro”: evito di fare citazioni perché
l’elenco sarebbe troppo lungo, ma invito i lettori a scrivere, su un qualsiasi
motore di ricerca, “ci rubano il futuro” per rendersi conto di quanto il tema
sia sentito e in quanti (singoli, gruppi, organizzazioni di vario colore e a
vario titolo) si riconoscano in questa affermazione. Mi sono interrogata su
questo nuovo interesse per un concetto a lungo messo da parte (soprattutto nel
nostro Paese): la mia impressione è che la crisi economica di questi ultimi
anni abbia reso il presente qualcosa di legato a sensazioni prevalentemente negative:
lo si rimuove, dunque, guardando altrove, oltre (nel tempo). Da un canto, gli
esperti in comunicazione hanno ormai da un po’ captato la sensazione diffusa e
quindi il marketing (anche politico) lega “i prodotti” (quali siano) ad una
immagine che dal difficile e negativo presente si distacchi: il nuovo, il
bello, il desiderabile, è nel futuro, è il
futuro. Sul versante della protesta sociale, il presente è vissuto in modo
talmente negativo che lo si dà già per perduto: si sposta dunque l’attenzione
sui rischi che corre lo stesso futuro.
lunedì 9 febbraio 2015
Persone: Giorgio Mortara (1885-1967)
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it
Una delle mie prime sollecitazioni a guardare al futuro ebbi
quando cominciai a frequentare, nel 1946 l’Istituto di Merceologia
dell’Università di Bologna. Il prof. Walter Ciusa, col quale cominciai i miei
studi nel 1946 e di cui divenni poi assistente nel 1949, citava le previsioni
merceologiche contenute nel 15 volumi delle “Prospettive economiche”, pubblicati
dal 1921 al 1937 da Giorgio Mortara per conto dell’Università Bocconi di
Milano.