domenica 5 febbraio 2012

Limiti alla crescita

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it


Nella primavera del 1972 apparve un libretto che generò vivaci polemiche e che rappresentò, in un certo senso, una svolta nella visione dei rapporti fra gli esseri umani e la natura. Il  libro conteneva in forma piana i  risultati di una ricerca condotta per conto del Club di Roma, un gruppo di persone presieduto da Aurelio Peccei, straordinaria figura di imprenditore, intellettuale e promotore di studi sul  futuro. Il libro fu pubblicato contemporaneamente in diecine di lingue e in italiano fu intitolato: "I limiti dello sviluppo".

Il titolo originale era, però, "I limiti alla crescita" e lo studio arrivava alle seguenti conclusioni: se la popolazione terrestre continua ad aumentare (allora la popolazione mondiale era di 3.500 milioni di persone, nel 2011 era di settemila), se continua l'aumento della produzione industriale e agricola ai ritmi di quel tempo (che sono poi i ritmi di aumento anche attuali), il pianeta Terra va incontro ad un impoverimento delle foreste, delle riserve di petrolio, carbone, minerali, ad una diminuzione della fertilità del suolo e ad un aumento dell'inquinamento dell'aria e delle acque, della violenza e congestione delle megalopoli, al punto da far intravvedere  l'esplosione di guerre per la conquista delle materie prime e dell'acqua, la diffusione di malattie ed epidemie, con una brusca, violenta diminuzione della popolazione e della produzione industriale:  di conseguenza  anche l'inquinamento diminuirebbe, la Terra diventerebbe più vivibile e la popolazione mondiale diminuirebbe intorno a valori compatbili con la "capacità ricettiva" del nostro pianeta. Per evitare  questa transizione traumatica il libro suggeriva la necessità di porre dei "limiti alla crescita" della popolazione mondiale e della produzione e del consumo delle merci.
Il  libro suscitò vivacissime polemiche: alcuni lo considerarono una possibile guida per un futuro economico "sostenibile", come si dice oggi: altri riconobbero una resurrezione, avallata dai calcoli di potenti computers, delle teorie di Malthus, odiato dai cattolici e dai marxisti. Altri ancora denunciarono il libro del Club di Roma come uno strumento dei paesi industriali per bloccare lo sviluppo economico dei paesi poveri.

Altri, infine, scrissero migliaia di pagine per distinguere fra crescita economica, produttiva, merceologica (forse da regolare, pianificare e limitare) e sviluppo umano, cioè miglioramento delle condizioni di salute e di istruzione, aumento dell'occupazione, della dignità e libertà delle donne e degli uomini, beni irrinunciabili anche per i paesi del Sud del mondo.

Più volte molti si sono interrogati se erano tutte sbagliate le previsioni del Club di Roma. In questo lungo periodo ci sono state almeno tre guerre per il petrolio, diecine di guerre locali per la conquista delle miniere  di rame, cromo, cobalto, tungsteno, delle riserve di acqua nelle zone aride; è aumentato l'inquinamento delle acque, del mare e dell'aria e alcune modificazioni della composizione chimica dell'atmosfera stanno provocando mutamenti climatici irreversibili.

Dopo il crollo dei regimi a economia pianificata il libero mercato sta trionfando ovunque con una espansione senza precedenti dei consumi di energia e materie prime; sta lentamente diminuendo il tasso di crescita della popolazione, ma la popolazione  mondiale in assoluto continua ad aumentare di circa 70-80 milioni di persone all'anno, di un miliardo di persone ogni 12 anni. Sta aumentando il numero degli anziani e aumenta la pressione migratoria dai  paesi poveri a quelli più ricchi di merci, di opportunità di lavoro, anche di libertà individuale.

Ce la farà la Terra, con i suoi innegabili limiti fisici e biologici, a soddisfare, secondo giustizia, i bisogni di  tante persone ? Forse la soluzione va cercata in una revisione dei rapporti  fra i popoli, nell'uso diverso delle risorse del nostro pianeta, in una nuova capacità di guardare al futuro. La rilettura del libro del Club di Roma potrebbe aiutarci a riconoscere quella parte della sua carica profetica che ha qualcosa da insegnare ancora a noi oggi e domani.


















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