domenica 5 febbraio 2012

Persone: Aurelio Peccei (1908-1984)

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Come persona che studiava i processi di produzione delle merci e di uso delle risorse naturali, per forza dovevo interessarmi dell’evoluzione, nel futuro, di tali produzioni e processi e farne oggetto del mio insegnamento di Merceologia nella Facoltà di Economia e Commercio (ora Economia) dell’Università di Bari. Credo di aver cominciato a scrivere qualche articolo già nel 1951-1953, sull’evoluzione, secondo le equazioni di Lotka e di Volterra, della produzione di alcune sostanze e della concorrenza (trattata con lo stesso principio della concorrenza fra animali che si contendono cibo e spazio limitato), per esempio, fra sapone e detergenti sintetici, due merci che si contendevano un mercato anch’esso limitato. Un interessante (e sfortunatamente dimenticato) saggio su questo tema fu pubblicato nel 1957, nel prestigioso “Giornale degli Economisti”, da Ercole Moroni dell’Università di Bologna, negli anni in cui ero assistente in tale Università.

Per questa curiosità per l’evoluzione delle “popolazioni di merci” nel futuro cominciai ad interessarmi di studi sul futuro che, negli anni sessanta del Novecento, stavano assumendo crescente importanza e riscuotendo crescente attenzione, sull’onda del movimento francese Futuribles di Bertrand de Jouvenel. Venni così a contatto con l’imprenditore triestino Pietro Ferraro (1908-1974), medaglia d’oro della Resistenza, che aveva creato a Roma un gruppo di ricerche sul futuro, IREA (Istituto Ricerche di Economia Applicata), e aveva cominciato a pubblicare la rivista “Futuribili” (apparsa in 64 fascicoli dal 1967 al 1974).
In quell’occasione conobbi gli scritti di Aurelio Peccei che collaborava alla rivista. Seppi poi che Peccei aveva costituito il “Club di Roma” in quella fine degli anni sessanta del Novecento in cui stava anche nascendo la “primavera dell’ecologia”, in cui in cui si parlava di scarsità di acqua, di fonti energetiche, di inquinamento e di crescita della popolazione, e in cui si cominciava a parlare di limiti alla crescita, di “crescita zero della popolazione”, di decrescita. Una parola usata per la prima volta, per quanto ne so, da Paul Ehrlich nel 1970.

Negli stessi ultimi anni sessanta ero diventato amico della prof. Eleonora Barbieri Masini che dirigeva un centro di ricerche sul futuro, Irades (Istituto Ricerche Applicate Documentazione e Studi), e che organizzava incontri e seminari e pubblicava studi sul futuro  Una stagione che finì nell’estate 1973, alle soglie della crisi petrolifera, con un grande congresso svoltosi a Frascati con la partecipazione anche di Peccei.

Da quanto ricordo una prima versione del testo dei “Limiti alla crescita” --- che considero la più felice intuizione e realizzazione di Peccei e che Peccei commissionò ad un gruppo di studiosi di analisi dei sistemi negli Stati Uniti --- fu resa disponibile durante i lavori della Commissione sui problemi dell’ecologia, istituita presso il Senato dall’allora presidente Fanfani, costituita da cinque studiosi, fra cui io stesso, e da altrettanti senatori dei vari gruppi parlamentari. La Commissione lavorò negli ultimi mesi del 1970 e, all’inizio del 1971, presentò la relazione finale che fu pubblicata dal Senato nel 1971 in una ormai rara edizione in tre volumi.

Ricordo che mi colpì l’impostazione del lavoro dl Club di Roma, che del resto era una diretta derivazione delle leggi dell’ecologia. Quando una popolazione animale cresce in un territorio di risorse limitate, aumenta di numero fino ad un certo limite, dopo di che tende a diminuire perché intossicata dai prodotti del proprio metabolismo e dalla concorrenza fra individui.

Il rapporto al Club di Roma, redatto da Forrester e poi da Meadows e altri, come è ben noto, contiene delle previsioni economiche e sociali estese ad una qualche data indefinita, nel XXI secolo. Il rapporto, ovviamente, non diceva e non dice quello che succederà, ma quello che potrebbe succedere se si verificasse una concatenazione di eventi, riferiti ad un aggregato dell’intera popolazione terrestre:

Se aumenta la popolazione aumenta la richiesta di cibo e di beni materiali, di merci;
se aumenta la richiesta di alimenti deve aumentare la produzione agricola;
se aumenta la produzione agricola deve aumentare l’uso di concimi e pesticidi e aumenta l’impoverimento e l’erosione dei suoli coltivabili;
se aumenta l’impoverimento della fertilità dei suoli diminuisce la produzione agricola e quindi la disponibilità di alimenti;
se diminuisce la disponibilità di cibo aumenta il numero di persone sottoalimentate e che muoiono per malattie o per fame;
se aumenta la richiesta di beni materiali, di energia e di merci aumenta la produzione industriale e la sottrazione di minerali, di acqua e di combustibili dalle riserve naturali;
se aumenta l’impoverimento delle riserve di risorse naturali economiche aumenteranno le guerre e i conflitti per la conquista delle risorse scarse;
se aumenta la produzione industriale aumentano l’inquinamento e la contaminazione dell’ambiente;
se aumenta la contaminazione ambientale peggiora la salute umana.

Per farla breve, se continua l’aumento della popolazione mondiale (allora, nel 1970, era di 3.700 milioni di persone e da allora ha continuato ad aumentare in ragione di 70-80 milioni all’anno; nel 2012 è di settemila milioni), aumentano le condizioni --- malattie, epidemie, fame, guerre e conflitti --- che portano ad una diminuzione, anche traumatica, del tasso di crescita della popolazione umana.

Il rapporto esamina varie possibili forme di interazione fra i vari fattori: popolazione, produzione agricola, industria (talvolta chiamata "capitale" o "capitale industriale"), inquinamento. Se si vogliono evitare eventi traumatici --- concludeva il libro --- la soluzione va cercata in una rapida diminuzione del tasso di crescita della popolazione, con conseguente rallentamento della produzione agricola e industriale e del degrado ambientale. La soluzione va insomma cercata nella decisione di porre dei "limiti alla crescita" della popolazione e delle merci e nel raggiungimento di una situazione stazionaria della popolazione e degli affari umani.

Altre versioni preliminari di quello che sarebbe diventato “I limiti alla crescita” (Limits to growth) (ma nella edizione italiana il titolo del libro fu impropriamente tradotto “I limiti dello sviluppo”, un titolo che generò innumerevoli equivoci e polemiche) circolarono nel 1971 e nel 1972. Nel febbraio 1972 la rivista inglese “Ecologist” pubblicò un rapporto intitolato “Blueprint for survival”, tradotto in italiano col titolo “L’utopia o la morte” da Laterza (ne scrissi volentieri l’introduzione). Nel febbraio 1972 ricordo di aver partecipato ad un convegno di tre giorni organizzato congiuntamente dal Club di Roma e dall’UDDA, l’Unione Democratica Dirigenti di Azienda, presieduta dal socialista Leo Solari, sul tema: ”Processo alla tecnologia”.

Il lancio ufficiale del libro sui “Limiti alla crescita” avvenne nel giugno 1972 a Stoccolma, durante la Conferenza delle Nazioni Unite sull’ambiente umano, con la partecipazione di Peccei che forse conobbi personalmente in quella occasione.

Non interessa qui elencare le motivazioni, in parte tecnico-scientifiche, in parte ideologiche, dei critici o dei lodatori dei "limiti alla crescita", tanto più che l’intero fascicolo n. 3 del 1997 della rivista "Futuribili", pubblicata dall’editore Franco Angeli, a cura del prof. Alberto Gasparini, dell’Istituto Internazionale di Sociologia di Gorizia, è interamente dedicato a tale dibattito, ricordato dai protagonisti, a un quarto di secolo dalla comparsa del libro del Club di Roma. Alcuni sostennero che non ha senso parlare di limiti alla crescita, altri parlarono delle prospettive di una società stazionaria; l’economista Georgescu Roegen ricorderà che neanche una società stazionaria è possibile perché la stessa “crescita” genera scorie che ne frenano la continuazione. Effettivamente le equazioni del libro “I limiti alla crescita” prevedevano una diminuzione della popolazione e dell’economia, come del resto era stato indicato nelle equazioni della dinamica delle popolazioni di Volterra e Kostitzin sugli effetti dell’intossicazione del mezzo ambiente. Il libro del Club di Roma mostrò, insomma, che la crescita della popolazione e della produzione e uso di materie e merci è insostenibile, un concetto e un termine che sarebbero stati riscoperti molti anni dopo.

Quasi una verifica delle previsioni ispirate al pensiero, alla “visione”, di Peccei si ebbe nel 1973: la comparsa del colera in varie città italiane, la prima crisi petrolifera dell’ottobre dello stesso anno, il conflitto per il rame nel Cile, e, negli stessi anni, le guerre per il cobalto, uranio e altri minerali in Africa, erano le prove dell’intossicazione degli ecosistemi, della scarsità delle riserve di risorse naturali, di conflitti per la conquista delle materie prime scarse.

Per quanto mi riguarda riconobbi --- e riconosco tuttora --- la validità della visione di Peccei, se non altro perché è ispirata a leggi ecologiche difficilmente contestabili, pur riconoscendo anche che alcune tesi o metodi di indagine della ricerca peccavano di imprecisioni e approssimazioni.

In quegli anni la diffusione delle idee sui limiti alla crescita e sull’insostenibilità della crescita economica in un ambiente limitato fu favorita anche da alcuni fortunati libri di Roberto Vacca, allora membro del Club di Roma e amico di Peccei. Voglio ricordare: “Il medioevo prossimo venturo” (1971) e “La morte di megalopoli” (1974). Soprattutto il racconto di quest’ultimo romanzo mostra che basta un insignificante evento per innescare catastrofi che colpiscono milioni di persone; una drammatizzazione della teoria dell’ “effetto farfalla” che circolava da alcuni anni fra ecologi e matematici.

Nel frattempo di Peccei avevo incontrato un poco noto articolo pubblicato nella rivista francese “Preuves”, n. 6, p. 39-43 (II trimestre 1971) col titolo: "L'automobile contre les hommes"; ero rimasto sorpreso che una persona, che era stata un alto dirigente della Fiat, potesse scrivere delle pagine così anticipatrici della crisi che l’espansione dell’automobile, al di là dei limiti di sopportazione delle città, avrebbe potuto arrecare alla vita urbana.

L’articolo metteva in evidenza come il crescente --- sempre problemi di crescita anomala --- numero di automobili private stesse superano la capacità ricettiva delle città, anticipando concetti come la carrying capacity delle città, la insostenibilità delle attuali strutture urbane, la necessità di far diminuire il numero di automobili private, la decrescita, concetti che appartenevano al pensiero di Peccei ma che sarebbero diventate di moda solo dopo trent’anni, “riscoperte”, spesso ignorandone le origini culturali che risalgono alle intuizioni di Peccei, da parte del movimento ecologista.

L’articolo continua con nuove prospettive per l’industria automobilistica, la sua nuova distribuzione nel territorio sia nei paesi industrializzati sia di quelli allora appena emergenti dell’Asia, tutte cose che sono poi avvenute e che sono oggi sotto i nostri occhi, pur con contraddizioni simili proprio a quelle intuite da Peccei. L’articolo di Peccei, ignorato per anni, è stato poi tradotto in italiano e pubblicato dalla rivista “Capitalismo Natura Socialismo” nel 2002.in rete in: http://www.ilmondodellecose.it/dettaglio.asp?articolo.id=2868.id=2868
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Ebbi rapporti più frequenti con Peccei dopo la Conferenza delle Nazioni Unite sull’habitat tenutasi a Vancouver nel 1976. I rapporti con Peccei erano anche mediati dalla comune amicizia con la professoressa Eleonora Masini, membro del Club di Roma. Adriano Buzzati Traverso, amico di Peccei, era attivo in quegli anni nel movimento di contestazione dell’energia nucleare, sia di quella militare sia di quella commerciale, in un periodo in cui i piani energetici sembravano pretendere la costruzione di diecine di improponibili centrali nucleari in Italia.

Gli anni settanta furono caratterizzati dalla crisi energetica; si trattava di capire quali sarebbero stati i fabbisogni di energia italiani negli anni della crisi e si moltiplicavano i piani energetici e le elaborazioni di piani energetici alternativi; erano esercizi di previsione e alcune di tali previsioni risentivano delle idee di Peccei e prevedevano un rallentamento della crescita dei consumi energetici, alla ricerca di una società a bassa intensità di energia.

Ricordo incontri con Peccei all’Italconsult a Roma, in via del Giorgione, negli ultimi anni settanta, segnati da grandi discussioni sui futuri piani energetici nazionali e sui reali fabbisogni di energia, di quale energia ?, dell’Italia. Ricordo un incontro nello studio di Peccei, con un qualche funzionario della Tecneco, una società di ricerca dell’ENI, il quale aveva elaborato delle previsioni di fabbisogni energetici italiani molto più bassi di quelli delle previsioni ufficiali e coerenti con le previsioni che io stesso avevo formulato per conto di Italia Nostra.

Il 2 marzo 1979 si verificò l’incidente al reattore nucleare di Three Mile Island negli Stati Uniti e il governo italiano, anche sotto la pressione della crescente contestazione antinucleare, decise di istituire una commissione di indagine sulla sicurezza nucleare per controllare se erano rispettate le norme di sicurezza nelle centrali esistenti (allora tre in funzione, Garigliano, Latina, Trino Vercellese), di quella in costruzione a Caorso e di quella che avrebbe dovuto essere costruita a Montalto di Castro. Della Commissione --- che svolse i suoi lavori, con molte convulse e tempestose riunioni dal settembre al dicembre 1979 --- faceva parte Peccei e anch’io. Ben presto apparve che la maggioranza della Commissione sottovalutava i rischi; eravamo all’opposizione, mettendo in evidenza carenze di sicurezza delle centrali nucleari esistenti e di quelle progettate, Carlo Mussa Ivaldi --- ingegnere, partigiano piemontese, come era stato lo stesso Peccei, ex-parlamentare socialista --- Peccei ed io che presentammo una relazione di minoranza e ci rifiutammo di firmare il documento finale.

Nei rapporti con Peccei per anni ci siamo dati del “lei”, per reciproco rispetto e in contrasto con la moda già allora dilagante del becero “darsi del tu” (solo in questo breve ricordo mi sono permesso di chiamarlo per nome). Nel 1982 Peccei mi propose di entrare a far parte del Club di Roma, nel quale peraltro non sono mai stato molto attivo. Con la morte di Peccei nel 1984 mi sembrava che la visione profetica impartita da Peccei al Club di Roma si stesse appannando; le poche proposte che feci suggerendo di riprendere proprio l’analisi dei limiti non furono prese in considerazione e “fui dimesso” senza una parola, qualche anno dopo. Ormai, morto Peccei, del Club di Roma mi importava poco.

L’unica cosa che mi sarebbe stata a cuore sarebbe stata la raccolta e la accessibilità pubblica dell’archivio e della biblioteca di Aurelio Peccei. Per quanto ne so, quello che resta dell’archivio, ordinato dalla sua fedele segretaria per tanti anni, Anna Pignocchi, si trova presso l'Università della Tuscia. Fortunatamente il futuro studioso del contributo di Aurelio Peccei e della migliore stagione del Club di Roma, può utilizzare il materiale esistente nei fondi archivistici e librari “Eleonora e Francesco Masini” e “Giorgio e Gabriella Nebbia”, donati dai proprietari alla Fondazione Biblioteca Archivio Luigi Micheletti, Centro di ricerche sull’età contemporanea, di Brescia.


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