venerdì 20 febbraio 2015

"Think: pensa al futuro"

Villaggio Globale telematico, 14, (55), settembre 2011
Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

"Think” è una parola inglese che si può leggere in tante maniere: il pensiero; il verbo pensare; io o noi penso o pensiamo; un invito, un imperativo, a pensare. Think, pensa, è stato scelto come “motto” dalla prima grande società di informatica moderna, la International Business Machines, o IBM, come è nota in tutto il mondo, una storia di gente che ha pensato: pensato di fare quattrini, ma anche di risolvere problemi umani.

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venerdì 13 febbraio 2015

F. Maggini, "Statistica e scenari", 2015

Statistica, scenari calcolabili e utopie immaginifiche
Filomena Maggino[1]

“questo ‘telefono’ ha troppi difetti per poter essere preso seriamente in considerazione come strumento di comunicazione. Questo dispositivo è quindi naturalmente di nessun valore per noi”
Western Union – Nota interna (1876)

La statistica si occupa – tra le altre cose – di individuare regolarità nelle informazioni rilevate (dati). Tali regolarità possono essere osservate in termini di tendenze, quando un certo fenomeno è osservato nel tempo, oppure di relazioni, quando si osservano convergenze e divergenze regolari tra i fenomeni osservati.
L’osservazione di regolarità consente di ipotizzare interpretazioni e spiegazioni. Coerentemente con tale conoscenza acquisita, che può essere formalizzata in un modello, è possibile ipotizzare come il fenomeno sotto osservazione si presenterà nel futuro. In altre parole, i modelli danno la possibilità di formulare previsioni (o proiezioni) ed eventualmente di prendere decisioni (al fine di influenzare l’andamento di determinati eventi).
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mercoledì 11 febbraio 2015

C. Facioni, "Parlare di futuri", 2015

                                                                                                                               Ricordatevi della vostra umanità, e dimenticate il resto
                                                                                                                                                                                            Joseph Rotblath
Perché si deve, soprattutto oggi, parlare di “futuri”
Carolina Facioni                                                                                                               

Anche i più distratti se ne sono forse accorti: da qualche tempo la parola “futuro” è molto utilizzata dai mass media. È il termine centrale di moltissime pubblicità, così come è onnipresente nei discorsi dei politici. Anche sul versante della protesta sociale (quanto di solitamente più lontano dall’establishment e dalle strategie del mercato) l’accento non è posto tanto sulla insoddisfazione per la condizione presente, quanto sul fatto che “si rubi il futuro”: evito di fare citazioni perché l’elenco sarebbe troppo lungo, ma invito i lettori a scrivere, su un qualsiasi motore di ricerca, “ci rubano il futuro” per rendersi conto di quanto il tema sia sentito e in quanti (singoli, gruppi, organizzazioni di vario colore e a vario titolo) si riconoscano in questa affermazione. Mi sono interrogata su questo nuovo interesse per un concetto a lungo messo da parte (soprattutto nel nostro Paese): la mia impressione è che la crisi economica di questi ultimi anni abbia reso il presente qualcosa di legato a sensazioni prevalentemente negative: lo si rimuove, dunque, guardando altrove, oltre (nel tempo). Da un canto, gli esperti in comunicazione hanno ormai da un po’ captato la sensazione diffusa e quindi il marketing (anche politico) lega “i prodotti” (quali siano) ad una immagine che dal difficile e negativo presente si distacchi: il nuovo, il bello, il desiderabile, è nel futuro, è il futuro. Sul versante della protesta sociale, il presente è vissuto in modo talmente negativo che lo si dà già per perduto: si sposta dunque l’attenzione sui rischi che corre lo stesso futuro.
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lunedì 9 febbraio 2015

Persone: Giorgio Mortara (1885-1967)

Giorgio Nebbia nebbia@quipo.it

Una delle mie prime sollecitazioni a guardare al futuro ebbi quando cominciai a frequentare, nel 1946 l’Istituto di Merceologia dell’Università di Bologna. Il prof. Walter Ciusa, col quale cominciai i miei studi nel 1946 e di cui divenni poi assistente nel 1949, citava le previsioni merceologiche contenute nel 15 volumi delle “Prospettive economiche”, pubblicati dal 1921 al 1937 da Giorgio Mortara per conto dell’Università Bocconi di Milano.
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Eleonora Masini, Gli studi sul futuro in Italia e in Europa

Eleonora Masini, Interrogare il futuro. Gli studi sul futuro in Italia e d Europa

1.      Gli studi sul futuro: la Francia e l'Italia

All'inizio degli anni 70 in Italia ci si accorse che esisteva una serie di studi che venivano chiamati "studi sul futuro " nei paesi di lingua anglosassone e "prospective " in quelli di lingua francese. Anche io feci la scoperta leggendo libri e testi in particolare di persone come Bertrand de Jouvenel, Robert Jungk  e  Johan Galtung.
de Jouvenel, insieme ad altri in Francia, già dalla fine della seconda guerra mondiale ,aveva iniziato  a creare una corrente  di pensiero  che si sarebbe raccolta  più tardi, intorno al centro "Futuribles"   e alla omonima rivista a partire dagli anni 60 agli anni 70. In questo  ambito scrivono ed operano personaggi come Gaston Berger, che iniziò ad usare il termine "prospective"  già negli anni 50 intendendo con questo guardare avanti non per sognare ma per agire.
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domenica 8 febbraio 2015

Carolina Facioni --- Uno sguardo ai futuri -- 2012

UNO SGUARDO AI FUTURI: I MOLTI PERCHÉ DI UNA DISCIPLINA
di Carolina Facioni[1]

“Presumo che vi aspettiate che io prenda sul serio l’elenco dei libri che vengono citati come miei, benché non siano stati ancora scritti. Forse sarei rimasto stupito dalla vostra capacità di prevedere il futuro se non vi foste dimostrati così indecisi riguardo l’anno della mia morte. Addirittura nove possibilità! Gradirei essere informato quando vi sarete decisi per una di queste. Una tempestiva cognizione di essa mi faciliterebbe notevolmente il resto della vita, per quanto lunga sia”
......
”Stimatissimo Signore,
non ci è, purtroppo, possibile informarla di quando Lei morirà. Il futuro non si può semplicemente prevedere. Al momento tutte le nove possibilità sono aperte. Il caso deciderà quale si avvererà. La Sua bibliografia contiene tutte le opere di questi futuri possibili. Su nessuno dei rami delle vite che Le stanno davanti, per dirlo in maniera pittoresca, Lei scriverà e le pubblicherà tutt’e diciotto. La Sua futura opera includerà al massimo undici e al minimo sei libri. Lei ha potuto vederli soltanto sul nostro sito. Con questo speriamo di aver giustificato il nostro slogan. Con sincero rispetto,
                                     la Biblioteca Virtuale”
(Zoran Živković, 2002, Sei biblioteche – storie impossibili, pagg. 39-40 tr. it. 2011)


Ho scelto di aprire l’articolo con un breve stralcio tratto da “La biblioteca virtuale” di  Živković perché mi è sembrato, leggendolo, di trovarmi di fronte ad un esempio di come l’intuizione artistica riesca a suggerire molte delle idee-chiave che caratterizzano una disciplina, molto più di quanto non riesca a volte un argomentato discorso teorico. L’idea suggerita è, in questo caso, quella dei futuri possibili. Il protagonista del racconto è uno scrittore, che in realtà ha scritto soltanto tre libri. Si trova a scoprire, in una misteriosa biblioteca virtuale (il cui slogan è “noi abbiamo tutto!”) l’elenco in cui figurano anche gli altri suoi potenziali diciotto titoli, nonché nove diverse sue possibili biografie: la più breve delle sue vite terminerà di lì a dieci anni, la più lunga durerà ancora per cinquanta. Rimarrà con molti dubbi e – forse – una certezza: quella che non riuscirà, comunque, a scrivere tutti i suoi possibili titoli. 
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